Coloro che vogliono diventare psicoterapeuti devono affrontare un lungo percorso formativo: cinque anni di università (3+2) in psicologia, un Esame di Stato che permette l’iscrizione all’Albo degli Psicologi e di esercitare la professione di psicologo e, successivamente, quattro anni di Scuola di Specializzazione in Psicoterapia per diventare psicoterapeuti.
In Italia sono più di 500 le Scuole di Specializzazione in Psicoterapia dai più diversi orientamenti: fenomenologico, esistenziale, umanistico, breve strategico, cognitivista, gestaltico, comportamentale, sistemico relazionale, centrato sulla persona… Per chi volesse fare questo mestiere orientarsi non è semplice. Nella mia esperienza le parole di una professoressa torinese mi sono state utilissime: “come esseri umani siamo come cipolle, abbiamo diversi strati… Come terapeuti dobbiamo trovare lo strato in cui ci sentiamo più a nostro agio”.
Tanto tempo fa ho trovato il mio “strato” comodo, entro il quale io sento che posso davvero aiutare le persone: quello psicoanalitico (o psicodinamico).
Pensando alla specificità della psicoanalisi e della psicoterapia psicoanalitica, le parole di A. Correale credo tratteggino bene il nucleo di questo orientamento:
“La psicoanalisi pensa che il problema dell’uomo non è semplicemente esistere (come ad esempio fanno le terapie gestaltiche o fenomenologiche) ma è di esistere desiderando qualcosa.”
Ritengo che questa affermazione non sia solo molto suggestiva ma che metta in luce uno degli aspetti che contraddistinguono la psicoanalisi da tutti gli altri approcci. Essa sottolinea, e ricerca nella sua cura, l’unicità e la specificità di ogni singolo individuo nel suo stare al mondo, nel suo ricercare qualcosa, nel suo desiderare qualcosa.
Per quanto si possa creare una griglia, una struttura, un riferimento per capire al meglio l’accadere psichico, ciascuno di noi ha nei propri abissi qualcosa che lo rende unico… Un’energia, un filtro, una lente, che lo rende peculiare e autentico rispetto a ogni altra persona. La psicoterapia psicodinamica si rivolge a questo quid che contraddistingue ciascuno di noi, cercando di valorizzarlo.
La persona che si chiede aiuto a uno psicoterapeuta psicoanalitico credo che abbia innanzitutto bisogno di essere ascoltato ed essere riconosciuto in questa unicità, nella sua irripetibilità. Quando colui si sente cambiato da qualcosa, il compito del terapeuta è riportare alla luce le sue risorse positive e di non lasciarlo ancorato a una visione di sé che mette in ombra le sue caratteristiche dietro un dolore che molte volte viene etichettato.
L’orientamento psicoanalitico non dà molto valore all’etichetta diagnostica in quanto tale. Come orientamento iniziale potrebbe avere una sua utilità (come la griglia di cui sopra). Ma ai fini della cura non si rivela utile in quanto induce in chi la riceve (e molte volte anche in chi la elabora) confusione tra ciò che ha e ciò che è.
Il dolore psichico è indice di ciò che il soggetto ha dovuto affrontare e strutturare nella sua mente probabilmente per sopravvivere a quello che gli è accaduto. Non esaurisce ciò che è. Lo psicoterapeuta psicoanalitico quindi, pur mantenendo come uno dei suoi obiettivi primari la risoluzione del sintomo, va oltre quest’ultimo e si domanda: “Chi è questa persona che ho davanti?” Ponendoci silenziosamente questa domanda andiamo oltre la sintomatologia e cerchiamo di sintonizzarci sulla singola persona.
In una psicoterapia psicoanalitica è al centro la soggettività dell’altro e il fine è la comprensione della persona nella sua totalità. Lo scopo di questo tipo di terapia è che la persona riscopra se stessa, giungendo a una migliore conoscenza di sé.
Definire in maniera precisa l’orientamento che uno psicoterapeuta adotta ritengo sia molto importante per il paziente: egli può così conoscere come il terapeuta si approccia non solo al disagio psichico ma anche al trattamento e alla persona. Dall’altra parte “ciascun paziente ha alle spalle una storia unica e irripetibile e le varie tecniche devono adattarsi alle sue caratteristiche” (Gabbard, 2017).
Nonostante esistano anche trattamenti a breve termine in questo approccio, io prediligo non definire mai a priori quanto durerà la terapia o quanti incontri ci saranno. Il lavoro si struttura tra due soggettività in maniera congiunta e non è possibile stabilire a priori quanto tempo occorrerà affinché i fenomeni psichici di base possano avere luogo (empatia, alleanza terapeutica, emersione dei significati inconsci, transfert, contro transfert).
Infatti, un aspetto centrale di questo tipo di terapia è riservato al ruolo della relazione: una relazione analizzata nel qui e ora del lavoro terapeutico ma anche ripercorsa nel suo districarsi del passato. L’attenzione alle relazioni dell’infanzia è rivolta non tanto per cercare di cambiarle, quanto per tentare di gettare nuova luce sul presente, per capire come quelle si ripetono nell’adesso dell’individuo e condizionano il suo comportamento.
Dopo questa introduzione credo che potrebbe essere utile riassumere brevemente i concetti chiave della psicoterapia psicoanalitica (ripresi dal testo di Gabbard 2017):
La vita mentale di ciascuno è essenzialmente inconscia. Questo assunto non si basa solo sul conflitto inconscio d'istanze e pulsioni colto da Freud (The King) ma anche su attuali evidenze neuroscientifiche che mettono in luce come gran parte della vita mentale avviene all’insaputa dell’individuo stesso. E’ stato dimostrato che il nostro agire è determinato da memorie di emozioni, di relazioni, d'interazioni e della loro interdipendenza che agiscono al di fuori della nostra consapevolezza. “Una prospettiva psicodinamica suggerisce che noi siamo, per la maggior parte, consciamente confusi e inconsciamente controllati”. (Gabbard, 2014)
La prospettiva evolutiva. Si ritiene che il comportamento del bambino sia geneticamente determinato e che sia parallelamente influenzato dalle esperienze avute con i genitori o con le primarie figure di accudimento. Le esperienze precoci del Sé con gli altri vengono interiorizzate e a esse vengono associati degli affetti che sono riproposti nelle relazioni future (anche con il terapeuta).
Transfert. Questo è un fenomeno per il quale al terapeuta vengono attribuite caratteristiche di una figura del passato e riproposte nella relazione di cura. Modelli emotivi e d'interazione sono stati appresi nei primi anni di vita e sono inconsciamente attualizzati nel qui e ora della relazione terapeutica.
Controtransfert. Potrebbe essere definito come tutte le modalità di risposta non consapevoli del terapeuta al transfert del paziente. Come i due concetti precedenti, anche questo nel tempo si è molto modificato passando dall’essere definito come anti-terapeutico, agli esordi della psicoanalisi, fino a essere considerato oggi un indice diagnostico fondamentale.
Resistenza. Uno dei punti cardini nella comprensione del paziente è che esso sia ambivalente circa il cambiamento. Egli metterà in atto in maniera non consapevole dei processi che vanno in direzione contraria al motivo per il quale ha chiesto aiuto. E’ compito del terapeuta riconoscerli e cercare di elaborarli nella terapia con il paziente.
Determinismo psichico. Questo concetto psicoanalitico si riferisce al principio secondo cui nella nostra vita mentale nulla accade per caso. Le nostre emozioni, i nostri pensieri e comportamenti sono il risultato di forze inconsce che agiscono in maniera dinamica tra loro. I nostri sintomi o comportamenti sono causati da contrapposizioni di forze entro la mente, ogni volta possono essere diverse, che producono il risultato finale.
La soggettività unica del paziente. Seguendo questa prospettiva l’uomo non è consapevole di tutti gli aspetti che compongono la personalità, e talvolta la maggior parte di essi può essersi offuscata. Per questo, uno dei principali obiettivi del terapeuta è aiutare il paziente a riscoprire il suo Vero Sé (Winnicott, 1960). “Una delle caratteristiche più distintive della psicoterapia psicodinamica è che il terapeuta tratta la persona che soffre di un disturbo: mentre curiamo i sintomi ansiosi o depressivi di un paziente, ci focalizziamo anche sulla sua autenticità” (Gabbard, 2017). Uno dei nostri compiti primari è quindi cercare di aiutare la persona a capire chi è e cosa vuole realmente dalla sua vita.
Questo è quello che mi sento di scrivere, sapendo non di essere affatto esaustiva, sulla psicoterapia psicoanalitica. Per me è innanzitutto un modo di sentire, di guardare all’altro e stare in relazione (non solo terapeutica).
Mi auguro di avervi trasmesso un po’ della mia passione e della mia curiosità… Sperando di non avervi annoiato troppo. Alla prossima!